Felicemente immersi in un paesaggio tipicamente collinare, fra stradine tortuose fiancheggiate da alberi spogli e vigneti (ridotti dalla stagione a tristi file di pertiche conficcate nel terreno) adagiati lungo i declivi a rigarne il profilo, il freddo impietoso dei giorni precedenti è subito sembrato un ricordo: il termometro dell’automobile è lentamente risalito fino alla ventina, sebbene in capo a una settimana prima non ci sarebbe stato quasi da stupirsi nell’osservare la stessa cifra preceduta da un segno meno.
Le cantine
– Montalbera. Sita in Castagnole Monferrato e inserita come prima della lista per questioni d’itinerario, ne ricercavamo il Grignè ed un terzetto di Ruchè piuttosto ben quotati; ma nonostante avessimo avvertito del nostro arrivo sin dalla sera prima, sul posto abbiamo trovato un portone di legno serrato e un lavorante straniero in ciabatte dedito alla musica napoletana, cui è spettato il compito di riferirci il fallimento della nostra prima tappa. A nulla è valso il suo tentativo di telefonare alla proprietaria: secondo lei si è trattato di un malinteso.
– Tavijn. Fuori programma ispirato dalla qualità della bevanda assaggiata a tavola in osteria, l’abbiamo cercata e trovata in quel di Scurzolengo poiché, a detta delle guide in nostro possesso, il suo Ruchè esprimerebbe al meglio le potenzialità di questo vitigno autoctono piemontese. A riceverci nella piccola corte abbiamo trovato una signora e parecchi gatti, e abbiamo acquistato il Ruchè e una Barbera nonostante il tema originale fosse un altro. Del resto il Grignolino era terminato.
– Oreste Buzio. Una volta sul posto in quel di Vignale, nel piccolo cortile davanti all’ingresso sprangato e solitario, una rapida telefonata ha permesso all’anziano proprietario di questa piccola tenuta di apparire dal nulla per farci strada in cantina. Nel locale non vastissimo ma schietto, col soffitto a crociera e l’illuminazione scarsa e suggestiva, quest’uomo d’altri tempi, magro e sinceramente gentile, ci ha parlato con orgoglio del suo Grignolino in uniforme da lavoratore dei campi testé sottratto alla propria occupazione. Gli abbiamo portato via alcune bottiglie di quello (con soli 6€ di costo vanterà il miglior rapporto qualità/prezzo del giorno) e un paio di Freisa ferme (stesso prezzo), ringraziandolo per essersi offerto di stapparcene una bottiglia. Ha voluto lasciarci in omaggio un Piemonte Chardonnay, consigliandoci la versione non barricata da noi preferita a prescindere.
– Canato Marco. Congedati da Oreste (e dal suo vivace bracco) con la raccomandazione di non mancare alla manifestazione “di Grignolino in Grignolino” del prossimo 13 maggio, ci siamo diretti alla volta dell’ultima tappa del nostro giro, da Marco Canato, preceduti dalla ormai rituale telefonata di preavviso, resasi stavolta necessaria finanche allo scopo di reperire la misteriosa (secondo il nostro navigatore) località Ca’ Baldea. Sul posto abbiamo dapprima conosciuto il fratello di Marco, quindi è arrivato il titolare, capelli nerissimi e taglia grossa, e all’acquisto del Grignolino “Celio” e della Barbera “Gambaloita” è seguita una degustazione da seduti della Freisa “Milana”, accompagnata da un cacciatorino artigianale e da pane fresco. Durante l’ora abbondante di conversazione con Marco abbiamo affrontato alcuni dei temi più importanti legati al mondo dell’enologia: dal problema della scarsa pubblicizzazione di vitigni autoctoni quali Grignolino, Freisa, Ruchè o Pelaverga, fino alla qualità di certe recensioni professionali, troppo spesso tese a spingere prodotti resi tristemente omogenei dal taglio sconsiderato coi soliti uvaggi francesi (fra tutti il Cabernet) o da lunghi affinamenti in barrique. Lui ha molto lodato la professionalità di una rivista, tale Merum, di cui ci ha mostrato una copia in lingua tedesca; pare possieda l’abitudine di rifiutare la recensione ai vini barricati, contrassegnandoli nei suoi elenchi col simbolo del castoro… Divertente e istruttivo anche l’aneddoto della degustazione al buio di trenta Barbere alla quale questo Produttore chiese una volta di partecipare in qualità di giurato, dalla quale sarebbero emersi vincitori vini tagliati col Cabernet nonostante la votazione (e il Canato per primo) li avesse smascherati premiando quelli tradizionali. Ha trovato posto anche una domanda sulla fermentazione malolattica, la cui pratica abbiamo riscontrato diffusamente presso quasi tutte le Cantine: pare sia ritenuta una fase imprescindibile della lavorazione, perché “nessuno berrebbe oggi un vino dal tasso di acidità troppo elevato”. Sarà… ma in altri termini la si potrebbe considerare anch’essa un incentivo all’avvilente standardizzazione dei gusti personali.
Il pranzo
Osteria Da Geppe: ubicata in centro a Castagnole, di fronte allo spiazzo sul quale prospetta la graziosa chiesa in mattoni di San Martino del secolo XVIII, il locale possiede nel retro una sala grande adorna di numerose bottiglie. L’accoglienza ci è parsa spiccia, ma il cibo convincente e niente affatto caro. Ci siamo accontentati di un antipasto di tomini con fetta di prosciutto arrosto, e di un primo piatto di lasagnette con sugo ristretto di tenerone al Ruchè. Come vino abbiamo optato altresì per un Ruchè, quello di Luca Ferraris, subito mostratosi una scelta pregevole: il bouquet ha rivelato aromi da fruttati a sempre più floreali, fino ad esprimere una considerevole persistenza di rosa canina simile a quella del Lacrima di Morro d’Alba. A una mensa piemontese non potevano infine mancare i grissini, quelli lunghi tirati a mano, distesi in mucchio sopra la tovaglia e meno friabili di quelli classici. Ma anche più sfiziosi.
I luoghi
– Castagnole Monferrato. Immersi in un’atmosfera tiepida di fine inverno, ne abbiamo apprezzato la piazza dell’osteria in cui abbiamo desinato. Della chiesa abbiamo già detto; resterebbe da aggiungere qualcosa sulla bellezza delle colline segnate dalle vigne da cui si trae quel nettare del Ruchè; ma tale bellezza è una caratteristica comune a tutto il territorio Monferrino.
– Vignale. Dall’intorno della chiesa di San Bartolomeo abbiamo potuto godere di un’ampia vista sulle increspature verdi e irregolari che definiscono gli appezzamenti coltivati a vite lungo la campagna circostante. Ogni palmo di questa terra accoglie le gemme del frutto prezioso che trasforma il territorio in uno scrigno di sapori rari e preziosi.
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